Wagner e il ddl Zan
La cultura pop è piena di momenti wagneriani. Il più memorabile di tutti è la Cavalcata delle Walkirie trasformata in colonna sonora per gli elicotteri americani che bombardano il Vietnam in Apocalypse Now. Quel film era un molto libero adattamento del racconto di Conrad Heart Of Darkness, il cui autore si era a sua volta ispirato alle storie di Wagner. E poi c’è quella famosa battuta di Woody Allen in Crimini e misfatti - “Ogni volta che sento la sua musica mi viene voglia di invadere la Polonia” (ben sapendo che lui stesso, come il suo personaggio, è ebreo). L’autore dell’Anello del Nibelungo è stato ovviamente questo, il più grande antisemita del suo tempo e ispiratore diretto di Adolf Hitler che ne fece il suo idolo; e sembrerebbe logico dunque assegnare a Wagner un posto poco invidiabile nella Storia e non pensarci più.
Adesso però che è uscito il librone di Alex Ross si capisce che Wagner è stato troppe altre cose. Certo, fu ispiratore di Hitler, ma in realtà fu ispiratore praticamente di TUTTI a quell’epoca: amato da poeti simbolisti, da D’Annunzio, da Proust, dai dadaisti, dai neri, dagli anarchici, dai comunisti, dalle protofemministe e perfino, sì, da ebrei e sionisti. Ognuno ci vedeva qualcosa di diverso. Ma la cosa più sorprendente è scoprire l’idolatria di Wagner da parte degli “omosessuali” - parola oggi superata ma che nella seconda metà dell’Ottocento iniziava appena a circolare, in rappresentanza di un pezzo di società fino ad allora represso: in pratica, è stato la prima icona gay della Storia. Certo c’è il suo notorio quanto misterioso rapporto con Ludwig II, il principe della Baviera che sviluppò - prima per la sua musica, e poi proprio per lui in carne e ossa – quell’ossessione che contribuì non poco alla sua definitiva uscita di testa.
Ma non c’è solo la biografia. Come è stato per primo notato dal musicologo Jean Jacques Nattiez, la musica e il teatro di Wagner costituiscono l’esordio o almeno la profezia di quell’arte androgina che si imporrà nella cultura pop del Novecento e che oggi si può dire maggioritaria. Wagner è il primo a scardinare lo stereotipo di un’arte rigidamente divisa tra il maschile e il femminile, a partire dalla stessa forma teatrale che univa la musica (“femminile”) alla poesia (“maschile”). Naturalmente già il melodramma in quanto tale è fatto di musica e poesia, ma è con Wagner che arriva l’idea di fondere le componenti: fino a lui c’era un musicista che faceva il musicista, un librettista che faceva il librettista, e l’opera era il risultato della loro collaborazione. Wagner fa tutto lui, è musicista e poeta, dunque in un certo senso è uomo e anche donna, e nella sua concezione unitaria del dramma queste non si tratta più di componenti distinte: esiste solo la sua arte totale, dove tutte le componenti (quindi anche danza, gestualità, luci, scenografia etc.) perdono le loro identità per formare qualcosa di unico. Ed è senz’altro paradossale che il profeta del più rigido totalitarismo della Storia, lo fu al tempo stesso del suo esatto opposto: una cultura fluida, e dunque, nella sua essenza fatta di contaminazione e meticciato.
Comunque la battuta più bella su Wagner non è quella di Woody Allen ma quella di Mark Twain che dopo avere assistito a una delle sue maratone operistiche commentò: “Davvero fantastiche le opere di Wagner... peccato solo per quelle parti in cui cantano!”.
Buona domenica.