Da uno a nove - L'enneagramma
Numero Uno era un istintuale. Onesto, operoso, moralista. Era anche così tranquillo che tutti pensavano fosse impossibile vederlo arrabbiato. Invece si arrabbiava, altroché; anzi in realtà era arrabbiato praticamente sempre, perché sapeva sempre benissimo cosa era giusto, e quindi non poteva capacitarsi che tanti suoi simili andassero ogni volta dalla parte sbagliata. E nemmeno capiva come facesse la gente ad avere dei dubbi.
Numero Due era un emotivo. Socievole, divertente, pieno di amici. Splendeva come il sole, sempre positivo, con tonnellate d’amore da regalare a tutti. Pur di farli stare bene era disposto a trasformarsi, travestirsi, smentirsi, tradire. Però non era sempre così allegro come sembrava: quando non veniva ricambiato soffriva un casino, non riusciva proprio a farsene una ragione. E poteva allora diventare molto vendicativo, perfino violento.
Anche Numero Tre era un emotivo. Gli piaceva stare al centro della scena, dare spettacolo, sentire gli applausi, l’approvazione e l’ammirazione del maggior numero di gente possibile. Aveva così tanta energia e sfacciataggine da potersi gettare nelle imprese più assurde, e riuscirci; sapeva inventare, organizzare, costruire alleanze, e anche raccontare balle se necessario, perché non accettava nemmeno l’idea di un possibile fallimento. Purtroppo, quelle poche volte che il successo non arrivava, Numero Tre non riusciva a perdonarselo e crollava nella disperazione.
Ed era un emotivo anche Numero Quattro. Creativo, brillante, originale. Rifuggiva la banalità, il conformismo, e per questo si sforzava sempre di fare anche le più piccole cose in modo almeno un po’ diverso dagli altri. Eppure li invidiava da morire, quei suoi simili che giudicava banali e conformisti, e gli sembravano però anche così leggeri, belli, ricchi, amati, spensierati: rispetto a loro si sentiva di non avere nulla, lui che viveva costantemente sull’orlo di un precipizio.
Numero Cinque invece era un razionale. Solitario, studioso, certosino, con la mania di completare tutto quello che iniziava. Sapeva che tutto era possibile ma nulla era gratuito. Così iniziava sempre partendo da zero, ogni volta con l’ambizione di scalare una nuova montagna con la sua sola forza di volontà: e per farlo non era disposto a regalare niente a nessuno, anche perché sentiva che gli altri partivano da condizioni di vantaggio rispetto a lui.
Anche Numero Sei era un razionale. Fedele, costante, sincero. Quando sceglieva di buttarsi nella vita e nell’amore, lo faceva ogni volta come se fosse la prima volta, trascinato da un entusiasmo talmente grande da risultare irresistibile. Eppure aveva un’immensa paura di sbagliarsi, di fare un passo falso, di fidarsi della persona sbagliata: per questo non avrebbe mai potuto sopportare un tradimento, e nemmeno la più piccola delusione. Infatti quando succedeva, cioè molto spesso, era capace in un secondo di voltarti le spalle. Per sempre.
Ed era un razionale anche Numero Sette. Ottimista, sereno, ironico. La vita era per lui come un gioco senza fine, dove non importava vincere o perdere ma solo divertirsi. E come tutti i giochi la prendeva molto sul serio, ideava strategie geniali per risolvere i problemi, trovava sempre un modo di cadere in piedi. Anche fottendo il prossimo, perché no? Tanto era un gioco. Aveva soltanto il terrore inconfessabile che prima o poi tutto questo finisse, e quindi non poteva accettare lo scorrere del tempo: lo spettro della vecchiaia.
Numero Otto invece era un istintuale. Trascinatore, generoso, coraggioso. Odiava le ingiustizie e amava proteggere i deboli, anzi, amava proteggere quasi tutti (a parte naturalmente chi lo sfidava, minacciandone l’autorità). Sempre sopra le righe, sempre eccessivo nelle qualità come nei vizi, si arrabbiava facilmente, ma a differenza di Numero Uno non lo teneva affatto nascosto: processava, giudicava, puniva. Soprattutto quando aveva l’impressione che un amico si allontanasse da lui, o che iniziasse a frequentare qualcuno che a lui non piaceva. Numero Otto si sentiva comunque, costantemente, in guerra.
Il contrario di Numero Nove, che era però anche lui un istintuale. Il suo unico pensiero era la pace: riusciva a stare bene solo se tutti intorno a lui stavano bene, e appena intuiva qualche accenno di conflitto, iniziava subito a mediare, smussare, fare in modo che i litiganti potessero capire il punto di vista dell’altro. A lui la giustizia non interessava proprio: che si avesse ragione o torto, bisognava in ogni caso fare un passo indietro per poter ritrovare la tranquillità e il buonumore universale. E quando questo proprio era impossibile, quando capiva che non c’era modo di placare le tensioni, allora Numero Nove perdeva la pazienza e diventava una furia.
Che cos’è il carattere? È la somma dei trucchi che i nostri genitori ci hanno insegnato, fin da quando eravamo piccolissimi, per uscire dai guai. E anche se quei trucchi non sono evidenti – anzi, specialmente quando non sono evidenti – sono parte di noi, e comunque destinati a restare con noi per sempre. Il carattere è come la lingua madre, non può cambiare, per definizione: possiamo soltanto provare a conoscerlo, esserne consapevoli, perché questo ci consentirà di attuare delle contromisure e avere relazioni migliori. La cosa più affascinante del carattere è che non lo puoi inscatolare: siamo sette miliardi di persone, e sette miliardi di caratteri diversi, sette miliardi di diverse combinazioni di trucchi, ognuna come una “lingua madre” che certamente cercherà di rompere la solitudine comunicando con le altre, ma resterà ad ogni modo unica.
Il carattere non lo puoi inscatolare, non lo puoi neanche definire, eppure la psicologia cerca di fare esattamente questo: ed è fantastico proprio perché sappiamo che non ci riuscirà mai, ma nel suo non riuscire ci si può almeno avvicinare, aiutandoci a capire noi stessi e gli altri. Anche perché diciamolo: da piccoli abbiamo inconsapevolmente “imparato” il nostro carattere per uscire dai guai, ma quello che poi succede nella vita adulta è il contrario, ovvero che quasi sempre a ficcarci nei guai è il nostro stesso dannatissimo carattere.
Dunque l’enneagramma è una teoria psicologica che divide gli infiniti caratteri in sole nove possibili categorie, a seconda delle loro compulsioni e di vari altri aspetti meravigliosamente intrecciati fra loro. Ed è la teoria che mi ha più convinto, quella che ho studiato, e che adesso uso tantissimo nella vita pratica. Le nove possibili categorie (qui si chiamano “enneatipi”) potrebbero per esempio essere riassunte in quegli ipotetici individui maschili che ho raccontato oggi, e che sono solo dei vaghi modelli astratti: nessuno di noi è integralmente un/una Numero Uno o un Numero Tre o un Numero Sei, ma tutti noi credo abbiamo un po’ di tutti quanti. E un numero che prevale. Come nei sogni.
Buona domenica.