La libertà
“Oh. Perché vi siete lasciati?”.
E io sempre, sempre, sempre, che casco nella trappola e provo davvero a rispondere. Allora scelgo gli argomenti che mi sembrano più efficaci, fra i numerosi disponibili, provando magari a capire dalla faccia degli interlocutori se risultano altrettanto efficaci anche a loro. Come dire: vediamo se riesco a convincerli! Vediamo se poi capiranno anche loro che effettivamente è stata la cosa giusta, la decisione migliore, e soprattutto che non c’è nulla per cui rattristarsi o addirittura avere rimpianti.
Ma niente, alla fine non funziona. E in effetti, quando anch’io mi trovo a fare la medesima domanda ad altri, sento quasi il dovere di mostrarmi rammaricato, esibire il volto del lutto di fronte a una coppia che non c’è più. A parole ci si dice “Ah, in fondo è meglio così!”, mentre con i gesti si esprime tutt’altro.
Che poi, sia chiaro, spesso è DAVVERO meglio così, ma non è questo il punto. La trappola è nel voler per forza razionalizzare una scelta che non viene dalla mente ma dal cuore. Io ho ascoltato il cuore e mi ha detto di fare così: se il cuore è libero, è lui che decide. Fine delle discussioni.
Il che incidentalmente mi porta a chiedere cosa sia la libertà. Se sia vero come dicevano gli antichi Stoici che si tratti soltanto di un’illusione, tenuta in vita dall’ignoranza degli infiniti condizionamenti a cui siamo sottoposti in ogni istante della nostra esistenza. E certo il problema esiste, io l’ho sentito bene sulla mia pelle nei miei dieci giorni di Vipassana: proprio in quel momento di massima privazione della libertà – trovandomi in balia di regole rigidissime che mi comandavano perfino come dovevo respirare, letteralmente – ecco, proprio in quel momento sentivo quanto nell’altro mondo, quello appunto della libertà totale, ci manca però la libertà principale che è quella di poter essere davvero in contatto con noi stessi. È una “libertà” pagata con il prezzo della distrazione permanente, dove ad essere libero è soltanto il nostro ego (e noi siamo suoi prigionieri inconsapevoli).
Certo quindi che il problema esiste, ma la soluzione Stoica – negare la libertà punto e basta – non sarebbe in ogni caso di grande aiuto. A me pare più convincente quella cosa che scriveva Leonardo Sciascia all’inizio di Todo modo (peraltro citando Kant) e che suona più o meno così: la vita è fatta di un singolo atto di libertà, a cui è appesa l’infinita catena delle conseguenze.
Decidere di lasciarsi, quello sì, è un singolo atto di libertà. Anche decidere di mettersi insieme o di sposarsi, di cambiare casa, di iscriversi all’università, cercare un lavoro o licenziarsi, fare il cammino di Santiago o qualsiasi impresa tu voglia iniziare o abbandonare. O a volte, in alcuni rari in momenti inattesi, semplicemente girare a destra o a sinistra in un bivio, o saltare sulla metro prima che si chiuda la famosa sliding door. Pillola rossa o pillola blu? Queste scelte sì che sono i nostri preziosi atti di libertà, e dovrebbero anche essere liberi di non essere spiegati. Non ha senso farlo perché sono questi atti a spiegare noi, e non viceversa.
Tutto il resto però – tutti i singoli anelli nella catena delle conseguenze che dall’atto di libertà prendono forma – eh quelli ce li dobbiamo tenere, con tutto il loro bel peso.
Buona domenica.