Picasso stai sereno
C’è questo libro che ho scoperto all’università e che ha cambiato il mio modo di pensare, leggere e scrivere e tutto quanto. E perfino oggi ancora un po’ mi influenza, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, che Walter Benjamin ha scritto quasi un secolo fa e che negli anni Sessanta fece anche tempo a diventare mainstream culturale e artistico.
Qui ci si chiede appunto cosa sia un'opera d'arte, in un'epoca (il Novecento), contraddistinta dalla riproducibilità. Non una riproducibilità generica però - dato che di per sé ogni opera è sempre stata riproducibile, anche nel Rinascimento potevi prendere il pennello e copiare la primavera di Botticelli - ma piuttosto una riproducibilità tecnica, appunto, come quella che da circa 150 anni a questa parte è stata consentita da strumenti come la macchina fotografica, il grammofono, la radio, la televisione e poi tutto il digitale eccetera eccetera.
Walter Benjamin ha capito molto presto - come i suoi colleghi della scuola di Francoforte, ma in modo meno pessimistico - che questa epoca per l'arte era qualcosa di differente dai due millenni e passa che l'avevano preceduta; e che questa nuova riproducibilità tecnica ne avrebbe cambiato per sempre l'identità. E aveva sostanzialmente ragione: ogni nostra esperienza quotidiana con la musica, le immagini, i video, dimostra la perdita di ogni aura sacrale dell'arte così come si era caratterizzata prima della Rivoluzione Industriale; insomma tutta l'arte è infinitamente accessibile e replicabile, dunque certamente vale di meno. Si può anche discutere su quale senso le resti a questo punto; e anzi, da ormai 50 anni siamo più o meno tutti rassegnati al fatto che non ne abbia più affatto.
Però, colpo di scena, nelle scorse settimane si è cominciato a parlare di un fenomeno che - almeno potenzialmente - sembrerebbe in grado di rovesciare questa situazione così assodata. Abbiamo tutti qualche amico strano che traffica con la tecnologia blockchain, giusto?
Ebbene, l’NFT è il risultato della tecnologia blockchain applicata in ambito artistico, e - per la prima volta appunto dai tempi di Benjamin - porta un’opera nella direzione opposta rispetto alla famosa riproducibilità: garantendone, al contrario, l’unicità. Mettiamo che tu realizzi un’immagine e la trasformi in un oggetto NFT: bene, a quel punto certamente tutti potremo ancora continuare a salvare, condividere, riprodurre l’immagine (come sempre). Ma il “certificato di autenticità” associato in modo indivisibile all’NFT, quello no, non si copia, non si incolla, non si riproduce. Si può soltanto vendere e comprare attraverso una transazione tracciabile, e il proprietario sarà unico e verificato.
Dunque c’è proprio un salto di tecnologia: creare un mp3 o un jpeg non costa niente, ma associarvi questo "certificato" - l'NFT appunto - costa eccome, e non è un costo virtuale soggetto a concorrenza: è un costo reale, tanto che occore un bel po' di energia elettrica per farlo e i corrispondenti dollari o bitcoin per pagare chi si occupa di farlo per te. L'espressione usata a questo proposito è "non fungibile": dunque sembra proprio avvicinarsi un'epoca in cui all'opera d'arte infinitamente riproducibile, se ne affiancherà una non fungibile. Cambierà tutto insomma.
Oppure non cambierà nulla, e questa sarà la solita trovata che entusiasma i perdigiorno digitali per una settimana. In attesa della prossima domenica.
Buona domenica.